Marco Rossetti
Nó ssè mài a Lóh
Legno, stucco, fotografie, fototransfer
2018
L’opera Nó ssè mài a Lóh gioca sulla contraddizione tra il detto popoalere camuno Zò de vài, de dòs, dòs, nó ssè mài a Lóh (Giù per le valli, su per i dossi, non s’arriva mai a Lozio) e il destino dell’anima della guardia che non può lasciare Lozio ed è costretta a vegliare in eterno. Per questo l’artista costruisce un’armatura da cavaliere, che ricorda quelle indossate dai soldati guelfi che presidiavano il Castello di Lozio sotto la famiglia Nobili. Ogni parte di questa armatura è stata fotoincisa con delle immagini di Lozio e dei suoi abitanti nelle varie epoche, raccolte dall’artista indagando sui libri e negli album fotografici della gente del posto: l’armatura del cavaliere così rappresenta la sua permanenza a Lozio attraverso gli anni e la sua visione su questi luoghi. In realtà non tutte le sue parti sono state fotoincise: alcune sono mancanti, come ricordi perduti nei meandri della storia e della memoria; altre sono vuote, in attesa della storia ancora da scrive. Il cavaliere, attraverso l’armatura distesa immobile e senza vita su di un tavolo, diventa così testimone e simbolo della disfatta dei guelfi, ma allo stesso tempo incarna l’evoluzione del paese nel corso dei secoli.